Quanta confusione crea il titolo di questo programma. Va proprio a toccare una delle questioni fondamentali che riguarda la violenza sulle donne.
I sentimenti e gli affetti non c’entrano. Troppo spesso le dinamiche e le violenze subite vengono descritte dalle vittime usando le categorie che riguardano i sentimenti e l’amore.
Questo genera un corto circuito pericoloso. In amore si può perdonare, si può lasciar correre, si può rincominciare. Quando siamo di fronte alla violenza all’interno di una relazione questo non è possibile.
Ma se continuiamo ad usare le cornici sbagliate continueremo a dare significati sbagliati. Ci illudiamo, e si illudono le vittime, che dietro a tutto quello che accade c’è comunque amore.
Quindi se teniamo duro, se magari cambiamo un po’, se siamo un po’ più accondiscendenti, se lo ascoltiamo di più, lo aiutiamo (perché abbiamo capito che è in difficoltà) possiamo risolvere tutti i problemi. Finalmente il nostro amore così forte supererà questo momento di difficoltà e potrà vivere.
A volte pensiamo di esserci innamorate di uomini problematici, che però con il nostro aiuto e la nostra comprensione potranno stare meglio. Pensiamo di essere più forti delle loro difficoltà.
Ma ancora una volta la parola amore ci confonde. E purtroppo spesso uccide.

Siamo vittime di qualcuno che sicuramente è “problematico” (io direi piuttosto portatore di un disagio). Di qualcuno che vive patologicamente le sue relazioni, che nulla hanno a che vedere con i sentimenti. La relazione è il terreno dove le sue difficoltà si manifestano. Non è stando dentro di essa che lui potrà “guarire”. Stando nella relazione alimentiamo il problema.

Il problema della violenza domestica è una vera piaga della nostra società chiusa dentro stereotipi di genere che a confronto con la società moderna ne ha impresso una accelerazione ed un recrudescenza senza confini di stato, regione, cultura, scolarizzazione. Nessuno di questi fattori è fattore di protezione o di rischio nella violenza all’interno sulle donne. Che siano laureate, di buona famiglia, senza problemi economici con una  rete sociale attiva e tanti interessi o meno non fa alcuna differenza. Questo emerge dalle ricviolenza sulle donneerche e questo dovrebbe farci riflettere quanti stereotipi ancora circondano questo fenomeno.
Sono proprio gli stereotipi che diventano il terreno su cui questo reato può essere perpetrato. Perché il pregiudizio sostituisce l’ascolto, la disinformazione l’accoglienza. Creando ancor maggior isolamento della vittima che fatica ancora di più a rompere il muro del silenzio, della vergogna.

Se continuiamo a sostituire le parole ad usare quelle che indicano altro continueremo a creare muri tra noi e le donne vittime di violenza. Sia essa fisica, sessuale e ancor più psicologica, forse la più difficile da riconoscere.
Da una parte i comportamenti degli uomini violenti può apparire seduttivo ma rientra sicuramente nelle sue “strategie di controllo/sudditanza” della vittima: relazioni che prendono il volo in maniera repentina, regali, etc. Poi c’è la minaccia, che significa anche svalutazione, spaventare, colpevolizzare, denigrare, ricattare. Il volto della violenza che viene allo scoperto, anche quando è difficile riconoscerla. Due dinamiche opposte ma che hanno l’unico scopo di tenere agganciata a sé la vittima ed averne il controllo, il possesso.
Tutto inizia talvolta con un pizzico di gelosia, che si nei rapporti d’amore non guasta, perché vuol dire che lui ci tiene a me. Poi i consigli, l’intromissione nelle relazioni personali (anche precedenti il fidanzamento). E via dicendo fino all’isolamento. Avanti fino a quando la concessione diventa normalità e poi pretesa.
Non pensiamo che lividi, ricatti, insulti o minacce esplicite di violenza siano i soli segni delle relazioni violente.

L’uomo violento è un bravo manipolatore: porta le persone intorno alla coppia incredule rispetto a quanto sta accadendo. La vittima poi si sente addirittura colpevole del comportamento di lui. Pensa di esserne la causa. Come se una risposta sbagliata (se poi lo era) possa essere giustificazione di una reazione violenta.
Sentiamo dire agli uomini: “io non sono una persona violenta, è lei che mi provoca che porta all’esasperazione”.
Il fenomeno dello stalking è oggi maggiormente riconoscibile, anche se rimane difficile difendersene perché ne rimaniamo invischiati. “Rispondo così si tranquillizza” e le telefonate e i messaggi non finiscono più.
Ma il gaslighting è più subdolo. La donna dubita ormai di se stessa. Di quello che è accaduto. Della violenza subita. Talvolta anche dei lividi. Quante volte sentiamo dire “sono io che ho esagerato”?

Imparare ad usare le parole giuste creerebbe una cultura nella quale sarebbe più facile farsi aiutare. La difficoltà più grande incontrata nel sostenere e aiutare le donne vittime di violenza è ristrutturare il linguaggio. Anche quando la violenza è stata riconosciuta e denunciata (e pensiamo quando si fatica ancora a nominarla) l’uso di parole quali amore, difficoltà di relazione riportano la vittima dentro quella relazione rinforzando la violenza e il suo essere vittima.
Ritornano dal loro uomo cariche di nuova speranza.
Ci vogliono mediamente dai 7 ai 9 tentativi per lasciare un uomo violento. Ad ogni rientro nella relazione questa diventa sempre violenta.

Sicuramente il marketing ne avrebbe risentito ma più che Amore criminale potevamo chiamare quella trasmissione: Credevamo fosse amore invece era violenza !!