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Il danno, la colpa, il trauma

Buoni genitori. Buoni figli. Cattivi figli. Cattivi genitori.
Trauma. Abbandono. Ferita. Legame. Paura. Ansia da prestazione. Insicurezza. Ritiro sociale. Trasgressione. Autodistruzione.
Parole. Valutazioni. Più spesso sintomi. Diagnosi.

La mappa diviene il territorio. La difficoltà la diagnosi. Chi soffre il problema.
Sappiamo cosa fare. Sappiamo cosa dire. Sappiamo da dove arriva. Non lo diciamo, ma sappiamo anche di chi è la colpa. Ma non diciamolo. O almeno non ora.

Da tempo abbiamo diviso mente e corpo. Come se il continuum tra i due fosse solo una coesistenza nella stessa persona. Scindendoli a piacimento.
In pronto soccorso ci chiedono cosa sentiamo. Ad un funerale come ci sentiamo.
Come se il dolore fisico non incidesse sul nostro sentirci o come se il nostro sentirci non lo sentissimo anche fisicamente.
(Chi si occupa di neuroscienze saprebbe spiegare la connessione tra cambiamento epigenetico e trauma psicologico.)

Il racconto della storia
Ma dove lo metto l’abbandono?

Mi avevano parlato dell’abbandono. Della sua ferita.
Non pensavo, ma oggi riesco a vederlo. Lo vedo in quell’incedere incerto, in quel silenzio, in quello sguardo.
Lo vedo nelle sue insicurezze, nelle sue incertezze.
Poi a volte me lo sbatte in faccia. Con più durezza. Con più dolore.

Tante volte quando era piccola mi ha chiesto di raccontargli la sua storia. Erano pochi i perchè che mi chiedeva.
Alcuni particolari, quelli si che me li chiedeva.
E riuscivo ad immaginare insieme a lei. Oppure insieme ci guardavamo riempiendo quel vuoto di un colore o di un silenzio fatto di abbracci. Forse a volte con più serenità che con dolore. O con dispiacere.
Ma ancora quella sua mamma e quel suo papà, quelli biologici, riuscivo a guardarli con una certa calma. No, la gratitudine per aver messo al mondo mia figlia non riuscivo proprio a provarla.

QUANDO SI DIVENTA GENITORI
Riflessioni sull’attesa

Quando si diventa genitori. Riflessioni sull’attesa tra paure e speranze. Qual è il senso di questo tempo?

Difficilmente vi troverete a chiedere a due genitori adottivi: “come è stata l’attesa?”, a meno che non siate voi stessi una coppia aspirante adottiva.
Più facile che si chieda loro come è stato quell’incontro: il vederlo la prima volta1.

  1. Talvolta rimanendo delusi perché riuscivamo solo ad immaginare emozioni intense e lacrime di felicità, mentre per la prima volta si incrociavano quegli sguardi, insieme agli odori e al calore, ma non è sempre così. Anzi. A volte la scintilla non scocca o quell'incontro a tutto fuorché qualcosa di romantico

Ma prima di quel momento c’è stato un tempo, che spesso anche mentre lo si attraversa gli stessi amici e familiari fingono di non vedere, perché carico di dolore: in cui il sogno rischia di diventare solo una speranza sempre più tenue.
Dimentichiamo che prima di quell’incontro ci sono state due ferite2, tante decisioni, tante paure, tante speranze, tante lacrime. Ma soprattutto tante incertezze.

2. Infertilità e abbandono

Nonni e Adozione… l’annunciazione

L’annunciazione.

Nonni, parenti e amici e il nostro percorso verso l’adozione.

A parte le naturali paure/scaramanzie connaturate alla gravidanza, esclusi i casi di gravidanze indesiderate o inopportune (se ne esistono), chi ha mai avuto timore di annunciare l’arrivo di proprio figlio?
Di norma si va a casa dei genitori, o in ufficio, o si esce con la propria amica del cuore, e colmi di gioia, talvolta anche di pasticcini e bevande rigorosamente analcoliche, si annuncia la lieta novella.

Questa cosa non accade spesso quando l’arrivo di nostro figlio è legato all’adozione. L’annuncio di voler intraprendere il percorso verso l’adozione porta con sé sentimenti di paura rispetto alle possibili reazioni.
Ci si prepara meticolosamente: si studia lo scenario dove accadrà questo annuncio, si cercano le parole esatte da usare e si cerca di prepararsi al meglio per affrontare tutte le possibili domande, o meglio sarebbe dire obiezioni, che potrebbero essere poste.

Amore criminale? Non è amore, è violenza !!

Quanta confusione crea il titolo di questo programma. Va proprio a toccare una delle questioni fondamentali che riguarda la violenza sulle donne.
I sentimenti e gli affetti non c’entrano. Troppo spesso le dinamiche e le violenze subite vengono descritte dalle vittime usando le categorie che riguardano i sentimenti e l’amore.
Questo genera un corto circuito pericoloso. In amore si può perdonare, si può lasciar correre, si può rincominciare. Quando siamo di fronte alla violenza all’interno di una relazione questo non è possibile.
Ma se continuiamo ad usare le cornici sbagliate continueremo a dare significati sbagliati. Ci illudiamo, e si illudono le vittime, che dietro a tutto quello che accade c’è comunque amore.
Quindi se teniamo duro, se magari cambiamo un po’, se siamo un po’ più accondiscendenti, se lo ascoltiamo di più, lo aiutiamo (perché abbiamo capito che è in difficoltà) possiamo risolvere tutti i problemi. Finalmente il nostro amore così forte supererà questo momento di difficoltà e potrà vivere.
A volte pensiamo di esserci innamorate di uomini problematici, che però con il nostro aiuto e la nostra comprensione potranno stare meglio. Pensiamo di essere più forti delle loro difficoltà.
Ma ancora una volta la parola amore ci confonde. E purtroppo spesso uccide.

Istruzioni per renderci infelici

Istruzioni per renderci infelici – È il titolo di un libro ma è anche la sintesi, ironica e tragica, di tutti quei comportamenti che mettiamo in atto nel tentativo di risolvere i problemi, ma che in realtà ci creano problemi, come Watzlawick, , Weakland e Fish spiegano molto bene in Change, opera meno divulgativa uscita nel 1974.
Nella ricerca spasmodica e infruttuosa di ricette per trovare la felicità non prendiamo in considerazione che molti dei comportamenti che sono ormai delle nostre abitudini, ci attraggono come un forte magnete verso la cronica insoddisfazione e infelicità.
Andiamo anche alla ricerca della spiegazione dei nostri comportamenti come se scoprire il trucco del rompicapo che ci attanaglia la mente possa essere la soluzione.
Il cambiamento implica necessariamente un comportamento differente, non solo una comprensione di quello strano modo di comprendere la realtà del nostro cervello.

Le indagini per l’idoneità all’adozione sono davvero necessarie?

Perché l’idoneità all’adozione?
Ma sono davvero necessarie?

È una domanda che spesso mi sento porre quando incontro le coppie durate i percorsi di attesa o nel mio studio privato.
Di norma il tono con cui mi viene posta è quello accusatorio. Il tono di chi si sente vittima di una ingiustizia, perché le coppie che possono avere figli non devono passare dai servizi sociali.
Sono arrabbiati e hanno perfettamente ragione. Almeno in parte.

Fallimenti adottivi e adolescenza

I comportamenti devianti, gli acting-out degli adolescenti adottati sono la causa o la dimostrazione dei fallimenti adottivi?
Nel capitolo “La famiglia adottiva sul banco di prova dell’adolescenza” di Roberta Lombardi emerge forte questa domanda che ribalta totalmente il punto di vista a cui siamo abituati ad affidarci.
Un pregiudizio che spesso non ci permette di andare oltre la problematicità del figlio adolescente. O meglio ancora al problematizzare il ragazzo identificandolo non solo come il portatore del problema ma come il problema stesso. Vedendo l’adolescenza come un momento evolutivo inevitabilmente e intrinsecamente critico.
Spesso ci possiamo trovare di fronte a famiglie che affrontano una crisi adottiva in adolescenza cercando disperatamente spiegazioni mediche, psicologiche o psichiatriche che possano dare un senso a quello che sta succedendo. Con l’unico risultato di delegare a terzi la “cura” che gli possa restituire loro figlio aggiustato, come era prima.